quaranta accademia
« NOTARELLE DI UNO DEI CENTO »

ovvero:DA NISIDA A POZZUOLI

24 ottobre 1961 - 30 aprile 1963
Noi la ricorderemo sempre, Nisida, anche se ci siamo vissuti solo pochi mesi non si può dimenticare tanto facilmente la bianca impalpabile coltre di cemento che ogni mattina ricopriva il piazzale; il fumo delle ciminiere dell'Ilva che oscurava il cielo e toglieva il respiro; il mare a portata di mano, che quando meno te l'aspettavi, t'inzuppava fino all'osso con uno spruzzo improvviso. E' stato lì che abbiamo mosso i nostri primi passi sulla via che ora abbiamo già percorso per buon tratto. Passi titubanti e incerti, di sovente interrotti da strane minacciose figure bordate da due strisce rosse, che brandivano micidiali pennelli variopinti. E' stato lì che abbiamo avuto i primi contatti con questa nuova vita in cui, tanto sapientemente, lo studio è intervallato con lo sport, con lunghi periodi di riposo, con escursioni e crociere all'estero, con lo studio... Tutto cominciò il giorno in cui 112 teste pelate entrarono in aula e si sedettero ordinatamente ai loro posti in attesa del primo “ briefing “ della loro vita aeronautica: era il 24 ottobre 1961. Occhi incantati che ancora si guardavano intorno come appena aperti sul mondo dopo un sogno strano. Volti imbambolati su cui s'incrociavano i ricordi di ciò che si lasciava ” fuori” e la curiosità su ciò che si sarebbe incontrato “dentro”. Ricordo il modo brusco con cui venne soddisfatta questa nostra curiosità. Non ci volle molto a capire dove eravamo capitati: ci facemmo subito un quadro pressoché completo della vita che ci attendeva e con nostro sommo disappunto dovemmo accorgerci che non si trattava di un Van Gogh, ma di un Picasso: su in alto a sinistra un mitra di tre chili; più giù uno “scelto” dalla grinta feroce; in un altro angolo faceva bella mostra di sè un nudo tavolaccio e finalmente, piccolo, quasi microscopico, un aeroplanino tentava faticosamente di decollare, ancorato com’era a torri di libri di fisica e di analisi; in cima a una torre un baffuto pedagogo ci additava la terra con aria maligna e ci ricordava straordinariamente una delle comuni caricature di Marx viste negli anni d'oro del liceo. Non si può dire che siano stati belli, i primi giorni di Accademia, ma, come Dio e Ministro vollero,venne il Natale. La tradizionale letterina diede i suoi risultati e Babbo Natale ci regalò un'Accademia nuova di zecca, con tante belle aule nuove, tanti lucidi ascensori per i Signori Ufficiali e tante, tantissime interminabili scale per i poveri allievi. Ah, noi non ti dimenticheremo mai, amato collega, che un giorno fosti trovato sul 371° scalino dell’edificio 4D, scala A, piano 5°, stremato dall'ascesa, mentre boccheggiante tendevi la mano verso la cima che le dure marce e le lezioni di analisi ti avevano impedito di raggiungere. Noi non ti dimenticheremo perchè la tua disavventura era la nostra: tu eri il tipico rappresentante del Corso cosiddetto “pingue”, bistrattato da Ufficiali, “ scelti “. anziani e malmenato, ironia della sorte, anche dall'architettura ultramoderna della nuova sede: eri il risultato di cinque mesi di Accademia Eppure fra le angherie, fra le celle e le consegne, si compiva il miracolo e da una confusa massa di persone pensanti in modo diverso veniva fuori un’unità completa, una volontà unica, un intendo solo: veniva fuori quello che oggi è il Corso Zodiaco 2°. Fu in questa nuova veste che il Vulcano, ora amico, ci presentò ai napoletani nei saloni del Teatro Mediterraneo, dove ci furono date le consegne e i simboli della nostra vita accademica e ci vennero propinate le ultime parolacce, anche se in forma un tantino più elegante. Fu quella una serata che chiuse un'epoca e ne aprì un'altra: ci addormentammno sulle note armoniose della « Ballata di una tromba » ed al mattino dopo quelle note s’erano fatte piú acute, più stridenti, molto meno armoniose: un suono di campanello echeggiava per i corridoi, ogni tanto interrotto da cinque strani colpi legnosi e da una voce cavernosa: — Non idoneo! —. Tempi duri per lo Zodiaco che aveva appena completato la sua unitá nella sfolgorante cornice di Via Caracciolo in un entusiasmante " Lo giuro! " e che ora si vedeva orrendamente mutilato sotto i tremendi colpi di Ciccio & Company. Tempi di terrore e di incubo che durarono per trenta lunghi, interminabili giorni, durante i quali furono scritte pagine di ardimento supremo e furono gettate le basi di nuove discipline che lasciarono a bocca aperta i professori. ...E venne la fine e con essa il termine di un incubo: aleggiava nell'aria un soffio di novella attesa, mentre nelle orecchie ci ronzava ancora l'eco di strani discorsi: A+B+C+logx... Stranissimi discorsi che si perdevano nel sole dell''incipiente estate, nella visione di spiagge scintillanti di luce, di vette ammantate di verde; al di sopra di tutto ciò dominavano incontrastati due occhi grandissimi. un volto, una voce: Lei! Finalmente la rivedrò dopo cinque mesi di lontananza! Cinque mesi lontano da persone ed abitudini ormai dimenticate, quasi si fossero conosciute nella lontana infanzia. Cinque mesi! Sembrano così pochi, eppure sono lunghissimi: come ci appariva solitaria la tranquilla vita di famiglia dopo una cosi stretta vita di comunitá; come ci sembrava angusta la nostra casa dopo la visione di ampi piazzali e di spaziose aule! II 2 Giugno ci vedeva sfilare lungo la via dei Fori Imperiali con l'impazienza di chi ha già preparato le valigie; la fine di Giugno ci rivedeva in tuta da volo ad affrontare, con la meraviglia dei nuovi iniziati, il misterioso T - 6. Finalmente non piú catalessi invernale, ne scrivanie, né lezioni, ma cielo azzurro, spazi sconfinati e moccoli dell''istruttore che si dichiarava incapace di comprendere come mai persone adattissime alla guida di battelli fluviali avevano la pretesa di pilotare una macchina impegnativa come un aereo. Avevamo cominciato con 30 aerei e circa 90 pingui; due mesi dopo svolazzavano per aria circa 70 aquilotti e 29 aerei: sui prati del campo di Pomigliano ancora oggi c'é gente che raccoglie i resti di quello che fu l’ aereo AA30, schiantatosi al suolo in un tentativo, evidentemente non riuscito, di decollo. Dal canto suo, ancora oggi il buon Beppe tiene cattedra nell' illustrare il suo “ metodo pratico di decollo col botto “. Così il luminoso periodo estivo trascorreva veloce tra la metropoli di Pomigliano e il “lido” di Nisida, dove alternavamo un tuffo obbligatorio con una corsa sugli sci acquatici, una nuotata al largo con un'uscita a vela. Di tanto in tanto si spiccava il volo verso lontane Aerobrigate, dove la visione di nuovi mezzi e di nuove macchine esaltava in noi la passione e incrementava l'entusiasmo. Cosi terminó il primo anno e si brevettò « pilota di aeroplano » l’ultimo Corso che abbia volato sul vecchio, glorioso T - 6, che tanta preoccupazione ha destato in noi a quei tempi e che tanta nostalgia suscita oggi nel nostro animo. Addio, vecchio Texan: fra poco il tuo nome sará sepolto nel sibilo acuto di un nuovo jet che verrà egregiamente a sostituirti. E' finito il mortorio del primo anno! « Sveglia ragazzi, comincia il secondo. Ehi, dico a voi! Mannaggia... dormono tutti: sono giá stanchi!» Ma balzano ben presto in piedi come un'unica orda eccitata da miraggi di favolosi bottini: arrivano i pingui! Lungo spiare delle finestre, complottare nell'ombra, ordire tranelli. in attesa del giorno in cui sarebbe scoccata la fatale ora “X”. I pingui, ,intanto, marciavano ignari sotto gli urlacci continui degli scelti cui rispondevano mesti « con un lento giro dei loro pazienti. occhi » stralunati e sognanti; ancora non avevano capito niente, ma ben presto se ne sarebbero accorti. L'anziano, puntellato al muro, con la cicca fra le labbra, si godeva lo spettacolo e si sbellicava dalle risa. Ecco un pingue, con aria sommessa:
— Scusi;...
— Dimmi caro!
— Da che parte per andare in Comando?
— Vieni con noi, tí accompagniamo...
E si Va.
— Ma questi sono i servizi igienici!!?
— Appunto, puoi anche tirare giù i pantaloni..
— Ma io... ma io...!
— Sta' zitto quando parli con me. E spícciati., abbiamo una certa fretta.
— Aiut...!
Silenzio. Poco dopo usciva dipinto di un bel rosso tramonto con squisiti tocchi di verde praticello e di blu elettrico. Uno al giorno, una pennellata qua, una la, si andò avanti cosi finché lo Zodiaco non calò al completo sull'Aquila e la sgominò: era un mattino di domenica e i pingui uscivano di cella: buon per loro se ci fossero rimasti... Nell'eco della mischia furibonda, però, si ascoltava già per l'aria un melodioso suono di organo: il Bianco Natale si avvicinava e con esso la prima schiarita fra secondo e primo anno: il coro dello Zodiaco ebbe un successone e i pingui avevano i lucciconi agli occhi durante la festicciola data in loro onore. Cominciavano a guardare le cose dal giusto verso e a capire che i cattivi anziani, in fondo, erano cattivi sì, ma non troppo. Non ci fu il tempo per considerazioni del genere, che gia eravamo in licenza e neppure ci eravamo accorti di essere in licenza che di nuovo eravamo in Hdemia attaccati al solito carro: davanti agli occhi ancora turbinavano i ricordi delle piste coperte di neve, le palline e le candeline sugli alberi, i festoni che adornavano le strade. Era l'effetto del rientro: non c'era nulla di peggio in Hdemia. Mentre suona il primo silenzio dopo la licenza, ti senti assalire da una malinconia dolce, struggente: una lacrima vorrebbe traboccare dalle palpebre; poi, come pentita, ritorna indietro. Ma nella incoscienza del dormiveglia quando ormai è sfuggito al completo controllo della mente, il cuore piange senza ritegno come un bambino in cerca di una carezza. “ E' passato un altro giorno” Sono le parole di un motivo già in voga ai tempi in cui Matusalemme frequentava l'H-demia. “E' passato un altro giorno “ ma la meta sempre lontana, sempre irraggiungibile. II primo giorno lunghissimo, il secondo di meno e così via. E le lezioni si accavallavano alle lezioni, le adunate alle adunate; coi ragazzi dell'Aquila eravamo ormai amici, ma aumentammo la nostra amicizia nel clima scanzonatissimo della prima “Festa dei pingue” celebrata in H-demia. Fu un altra serata meravigliosa, allegra, spensierata: se non fosse stato per Don Marino Barreto!... Ora, dopo Pasqua, eccoci qui di bel nuovo a ripensare terrorizzati ai gessetti di Colucci, e alla bianca chiostra dei denti di Ciccio Cennamo. II suono stridulo del fatidico campanello già si sente per l'aria: riscriveremo una altra pagina di supremo ardimento!

Antonio DE FALCO